Il Libro Della Vita... e il Messico
Il bello di avere figli ancora piccoli è quello di poter assistere anche a
proiezioni adatte ad un pubblico di bambini, per i quali i messaggi devono
essere pochi, molto più semplici e trasmessi in modo facile da comprendere. Se
così non fosse, l’effetto immediato sarebbe -per noi genitori- quello di
ricevere una valanga di domande, tanto più difficili quanto più complessa ed
articolata risulta essere la trama, rispondendo alle quali si rischierebbe il
risveglio di ulteriori dubbi e curiosità... generando quindi altre domande.
È vero che passare il tempo a chiacchierare con i propri figli, specie se curiosi e interessati, è sempre bello, però non si può mai sapere dove
potrà portare la tortuosità del sentiero che percorre la loro mente giovane ed
innocente.
Innalzo perciò, e con vigore, il mio calice all'avvento delle trame facili e
dirette come questa, dalla quale i bimbi escono sereni e senza dubbi; però passo contemporaneamente agli adulti il messaggio che, se non sono alla ricerca di un qualcosa di
superleggero, questo genere non sarà difficilmente candidato al loro alto gradimento.
Di conseguenza, invece di spendere parole sulla sua trama, preferisco soffermarmi su di un
argomento culturalmente interessante che il film affronta, mettendolo sì in primo
piano, ma in modo così distrattamente ovvio da non venire in realtà notato
dai fanciulli in sala, cioè il particolare rapporto che il popolo messicano ha
con la morte.
Forse non tutti lo sanno, ma la morte in Messico viene percepita in modo diverso da come accade in Europa, talmente particolare da farla sembrare apparentemente irrisa: girando per le strade messicane
si trovano svariate rappresentazioni pittoriche della morte, innumerevoli
bancarelle che vendono teschi e scheletri in tutte le pose immaginabili,
perlopiù buffe, e per carnevale il viso dipinto come un teschio è un classico
intramontabile che viene utilizzato da molti giovani.
Questo, però, non accade per
fatalismo: uno sguardo non superficiale può facilmente comprendere come la
questione affondi le sue radici in quella filosofia del vivere che da alcuni viene
definita Mexicanidad (“se hai paura della morte, muori ogni giorno; se non hai
paura, muori una volta sola”).
Come ha scritto Carlos Fuentes, “La differenza dalla concezione europea
della morte come finalità, è che noi la vediamo come origine. Discendiamo dalla
morte. Siamo tutti figli della morte. Senza morti, non saremmo qui, non saremmo
vivi. La morte è nostra compagna.”
E Guillermo Arriaga, celebre autore di romanzi e film, aggiunge: “Noi
rispettiamo la morte proprio perché amiamo la vita. Viviamo intensamente
proprio perché consideriamo la morte naturale, costantemente presente, e questo
ci differenzia da chi rifiuta la sola idea della fine illudendosi che non debba
mai arrivare.”
Il giorno dei morti, il 2 di novembre, in Messico è una vera e propria
festa, durante la quale tutti si recano al cimitero a ricordare con gioia i
loro antenati trapassati, portando con sé un dolce della loro tradizione che
viene fatto proprio per quell’evento: il Pan de Muertos
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Ingredienti: 100 g. di zucchero (più quello per spolverare), 1
cucchiaino di sale, 1 cucchiaio di semi di anice, 11 cl. di latte intero, 11
cl. di acqua, 120 g. di burro, 4 uova, 580 g. di farina, 1 rosso d’uovo
sbattuto con 2 cucchiai di acqua, 1 cubetto di lievito di birra da 25 g.
Preparazione: Combinare lo zucchero, il sale, i semi di anice in una ciotolina e poi sciogliere il lievito di birra con un po’ dell’acqua. Scaldare il latte, l’acqua e il burro in una casseruolina sul fuoco medio fino a che il burro è appena fuso (senza farlo bollire). Unire il composto a base di latte al miscuglio secco, versarci il lievito sciolto in acqua, e sbattere bene con una frusta.
Mescolando, unire le uova e poi 1/3 della farina, quindi sbattere per bene.
Unire poi la farina rimanente un po’ alla volta, mescolando con un cucchiaio di
legno, fino ad ottenere una pasta omogenea. Mettere la pasta sulla spianatoia
infarinata e lavorarla fino a che sarà liscia ed elastica, e non più
appiccicosa (9’÷10’ circa). Mettere la
pasta in una ciotola leggermente unta, coprire con uno strofinaccio pulito, e
lasciarla lievitare in un luogo caldo fino a che sarà raddopaita in volume (1h30
circa).
Preriscaldare il forno a 180° e porre la griglia a metà. Sbattere la pasta
sulla spianatoia per sgonfiarla e poi dividerla in due parti. Prenderne un
pezzetto da una delle due metà e dategli la forma delle tibie incrociate e del
teschio (il simbolo dei pirati). Dare alle due metà della pasta rimanente la forma
di un pane rotondo e mettere su quella superiore il teschio con le tibie
realizzati prima. Deporre quindi i due pani su una placca da forno coperta di
carta forno, lasciando lievitare ancora un’oretta.
Spennellare i due pani con il rosso d’uovo sbattuto con l’acqua e metterli
a cuocere nel forno caldo: dopo venti minuti toglierli dal forno, spennellarli
ancora con il rosso d’uovo e spolverarli con lo zucchero. Dopo altri 20 minuti
di cottura i pani dei morti avranno un bel colore dorato e suoneranno vuoti
quando li battete con le nocche: questo è il momento per farli raffreddare
completamente mettendoli su una gratella. Solo dopo sarà possibile conoscere
il gusto di questa ricetta della tradizione messicana.
Enjoy!