Ave, Cesare! Ti parlo dei miti.
Non ho visto molti lavori dei
fratelli Coen, però raramente mi è accaduto che la prima visione di un loro
film mi abbia dato subito soddisfazione, forse solo “Il Grande Lebowsky”.
Generalmente ne esco con la sensazione leggermente fastidiosa di non averci
capito molto, cosa che mi ha sempre spinto a rivedere lo stesso film nel breve
termine, magari documentandomi un po’, prima.
Questa volta invece è stato molto
diverso: la sensazione all’uscita era più del tipo che in realtà non mi pareva
ci fosse qualcosa da capire, che tutto sommato il film fosse banale e sciocco
(cosa per me incredibile con questi registi) e non ho sentito proprio nessuna
voglia di tornare a vederlo. Realizzando questo mio anomalo stato d’animo, mi
sono ripromesso di approfondire la lettura della trama e delle critiche
sperando di cogliere finalmente ciò che dovevo aver necessariamente mancato.
Finito l’approfondimento, ho
compreso che la mia disconnessione è giustificata da un problema generazionale:
degli anni ’50 infatti io so poco, veramente poco, non ci sono elementi di
quell’epoca che vadano a costituire una pietra angolare della mia formazione culturale,
se non ciò che ha continuato a protrarsi fino ai miei tempi. Per i fratelli
Coen, invece, i miti yankee del secondo dopoguerra hanno significato molto, nel
bene e nel male, tanto da spingerli a riportarli quanto più possibile all’interno
di questa pellicola, magari colorandoli con del sarcasmo su alcune delle discutibili
convinzioni di quei tempi.
Il fulcro su cui si srotolano gli
avvenimenti del film è il direttore degli Sudios della Capitol di Los Angeles, che
tra i sui compiti ha quello fondamentale di “Fixer”, cioè deve tenere lontani
dagli scandali in cui si vanno solitamente a ficcare le star che stanno
lavorando ai film prodotti dal suo Studio. Tra le bizze di star e registi e l’onnipresente
stampa alla continua ricerca di scandali, si passa attraverso la Hollywood
degli anni 50: il colossal biblico “Ave, Cesare!” che ricorda una sorta di Ben
Hur però più kitsch, varietà con balletti alla Gene Kelly, pellicole sul “nuoto
sincronizzato” e sorriso alla Esther Williams stampato sul volto della
protagonista, impeccabili coreografie pseudo-intellettuali ma a contenuto zero
e western con eroi privi di favella ma campioni di lazo, cavalcate acrobatiche
e camminate dondolati. Nell’intento di condire ed arricchire il film, ognuno di
questi “passaggi” presenta uno o più degli elementi culturali di allora, come la
repulsione verso l’omosessualità, il disprezzo per la libertà sessuale, l’approccio
sempre molto “politically correct” ai problemi (tipico degli Americani che
curano come prima cosa l’immagine), fino alle questioni legate alla guerra
fredda con i sovietici, che era nata proprio sul finire del secondo conflitto
mondiale.
Il problema in questo proposito
che apparentemente lodevole è, come detto prima, che questi elementi per le
generazioni di oggi significano poco o niente, e quindi il messaggio non
arriva. Cito una frase dall’articolo che più mi riflette tra quelli che ho
letto: “L’interesse frenetico per il
cinema e i suoi retroscena appartiene a una generazione di fan ormai superata”.
Quindi la chiave di tutto sta nei
miti tramontati degli anni ’50, per cui a questo punto l’ideale sarebbe
proporre un piatto molto in voga negli USA dell’epoca e che oggi non viene più proposto…
ma qui io fallisco, sia perché non sono americano, ma soprattutto perché nella
mia mente tutto ciò che era in voga a quei tempi proviene dagli episodi di
Happy Days e nulla di tutto quello mi pare scomparso oggi. Provare con ricerche
su internet -corretto o no che sia- non aiuta, per cui ho scelto un’alternativa:
il falso mito del piatto tipico italiano, cioè Spaghetti e Polpette.
http://www.recipetineats.com/ |
Non serve vi dia una ricetta: le
polpette col pomodoro ognuno ama farle a modo suo e cuocere gli spaghetti è nel
DNA di noi italiani. Potete comunque dare un'occhiata a questo blog Recipe Tin Eats, dove troverete una ricetta dettagliatissima e foto stupende. Però il fatto che per gli americani questo sia il piatto tipico
italiano e che tutti in Italia lo mangino è una questione che mi è sempre
rimasta sul gozzo: non è vero! ma allora perché lo credono?
Gli americani a cui l’ho chiesto
non si sono mai posti il problema: per loro è sempre stato così e non l’hanno
mai messo in discussione (giustamente, aggiungo io). Allora ho provato a
chiedere agli italiani: magari in Italia si mangia davvero e sono solo io a non
saperlo. Invece (per fortuna) no: le risposte che ho ricevuto mi hanno fatto
capire che in alcuni luoghi del sud Italia, ma solo in quelli, esiste
effettivamente questo come piatto tradizionale e nel periodo in cui tanti
italiani sono diventati migranti alla volta degli Stati Uniti anche questo
piatto è stato esportato da loro, che sono stati bravi a sdoganarlo come piatto
tipico e facendo così nascere questa convinzione nella cultura degli americani.
Questa è la storia che sono
riuscito a ricostruirmi: quanto sia corrispondente alla realtà non saprei
dirlo, ma a me convince abbastanza.
Enjoy