Ghost in the Shell e le Capesante Gratinate
Bello questo titolo, mi piace:
è proprio un chiaro esempio di come parole che hanno più significati possono donare
significati differenti ad una porzione di frase. Di primo acchito, infatti, si
verrebbe portati a tradurre il titolo come “Il Fantasma Nella Conchiglia”, che sarebbe
perfetto per un horror con quel tema, ma non ha assolutamente connessione con
questo film.
In realtà la parola “ghost” ha anche il significato di “spirito”; in inglese, infatti, il segno
della croce si fa dicendo questa formula della trinità: “In the name of the Father, and of the Son, and of the Holy Ghost”. Facendo
riferimento ad una persona, lo spirito è ciò che ne costituisce tutta la
propria essenza: il suo istinto, la sua cultura, i suoi ricordi,
l’atteggiamento, le paure, i sentimenti, la coscienza. In pratica, tutto ciò
che ne fa una persona. Il corpo invece ne è solo il sostegno, ciò che ne dà una
fisicità, e quindi ne è l’involucro, la corazza, una sorta di esoscheletro. Il
corpo, snaturato, diventa quindi lo “shell”,
il “guscio” dello spirito.
In un’epoca futura -e stiamo
entrando nel film- ci si immagina, grazie ai progressi della tecnologia, di
poter sostituire più parti del corpo, “upgradandole”
con parti sintetiche, sviluppate in laboratorio.
In questo contesto, l’esperimento
estremo, l’ambizione più alta di qualsiasi scienziato, ma su cui fino a quel
momento tutti hanno fallito è quello di ottenere la totale sostituzione del
corpo, lasciando intatto solo ed esclusivamente il cervello. Il cervello, in
partica, risulta ciò che costituisce l’essenza dell’uomo e lo rende un
individuo distinguendolo da una macchina; vale a dire che ne è il “ghost”.
Questa, originariamente, è la
trama di un manga cyberpunk, pubblicato nel 1989 dal fumettista giapponese
Masamune Shirow, che ebbe enorme riscontro di critica e di pubblico tanto da farne
trarre film d’animazione, serie televisive e addirittura videogiochi.
L’opportunità di farne anche un film negli Stati Uniti quindi era diventata
ghiotta e ben presto si trasformò in un vero progetto grazie alla Dreamworks e
Steven Spielberg, che nel 2008 ne acquistarono i diritti.
Dopo tanti esperimenti,
passaggi di mano, polemiche e quant’altro, il lavoro è finalmente uscito nelle
sale, solleticando la mia fantasia al punto da diventare per me un film
imperdibile; e non solo per la trama, ma anche per l’intrigante protagonista e
per la presenza di altri due attori che non mi sarei aspettato di vedere in
questo genere di lavoro: Juliette
Binoche, nel ruolo della dottoressa che realizza il “Ghost in the Shell”, e nientepopodimeno che Takeshi Kitano (e non dico altro), nel ruolo del fondatore e leader
della sezione di polizia in cui la bella Scarlett è impiegata.
Non ve lo dico però se mi è
piaciuto: quando lo vedrete (se lo vedrete) potete essere voi stessi a dirmelo commentando
su questo post. Poi io vi dirò la mia opinione.
Invece prendo di nuovo spunto
dalla parola shell, ma nel suo normale significato di conchiglia, per proporre
un piatto da abbinare. Si tratta di un piattino semplice semplice, ma la cui
riuscita dipende molto (come al solito) dalla qualità dei prodotti selezionati: le Capesante Gratinate.
Ho scelto di inserire
direttamente il video perché rende l’idea della semplicità nella preparazione,
ma va tenuto molto bene conto dell’importanza della pulizia delle capesante:
non è solo per una questione igienica (cosa di sicuro estremamente importante)
ma anche per evitare la presenza di sabbia nel boccone, che senza dubbio
guasterebbe il risultato finale.
Enjoy