Parasite - Kimchi


Credetemi, io questo film non lo volevo vedere. Ne ho vista di roba orientale e solo rare volte mi sono sentito soddisfatto. Sicuramente il divario culturale influisce, ma alla fine se si sceglie di andare al cinema solitamente è per divertirsi e rilassarsi.
Il fatto che questo lavoro avesse vinto l’Oscar non mi aveva spostato minimamente, e dopo aver visto il trailer l’interesse mi è sceso vorticosamente a zero. Capita però che, parlando con altre persone che amano il cinema, qualcuno che abbia visto il film lo si incontri, e quando il messaggio che arriva è un forte consiglio di andarlo a vedere, tenendo lo sguardo fermo e intenso nel dirlo, il muro eretto finisce per sgretolarsi e crollare, accettando l’idea di fare il tentativo. E questa volta posso dire “fortunatamente”!


Bong Joon-ho, il regista di questo piccolo capolavoro, ha costruito una carriera sulla distorsione del fantastico, ma, a dispetto del titolo, in Parasite non ci sono creature né immersioni nel soprannaturale: solo due famiglie, due case, e la brutale disuguaglianza tra classi sociali. Ho quasi copiato questa frase da un altro articolo, perché ho trovato che esprimesse bene quello che sentivo di voler condividere, però devo aggiungere, come esperienza personale, che un potere inatteso del film è la sua capacità di farti dimenticare che la pellicola che guardi è, in tutto e per tutto, un lavoro coreano; e credo che proprio questa sua capacità di essere globale sia il segreto che l’ha portato al successo, Palma d’Oro prima ed Oscar dopo.

Va da sé che con un film del genere la proposta culinaria debba necessariamente essere un piatto coreano, su questo non si discute; e considerando che questo film ha incontrato così tanto da vincere addirittura due grandi premi, ho scelto una strabiliante preparazione coreana fermentata, gustosa e leggera, che si accompagna a tantissimi tipi di piatti, sia orientali che non: può essere servita da sola come antipasto, o dentro delle frittelle, oppure come contorno di secondi di carne, o anche semplicemente con un po' di riso.
Si chiama Kimchi ed è buono con tutto!


Ingredienti: 100 gr di kochukaru (il tipico peperoncino rosso coreano), 2 cucchiaini di saeu-jeot (cibo salato fermentato a base di gamberetti), 1 Cavolo di Pechino (o in alternativa anche un cavolo verza), 225 gr di ravanello daikon, ½ tazza di sale, 4 scalogni medi, 60 ml di salsa di pesce, 1 cucchiaino scarso di zenzero tritato, 1 cucchiaio di trito d’aglio, 1 ½ cucchiai di zucchero granulato.
Preparazione:

1.  Tagliare il cavolo in due pezzi e metterli in una ciotola abbastanza grande
2.  Versare quindi sale fino a quando l’ortaggio non ne sarà ricoperto
3.  Aggiungere abbastanza acqua calda per sommergere il cavolo
4. Ricoprire con la pellicola alimentare e lasciate riposare il cavolo per 12/24 ore a temperatura ambiente
5.  Dopo bisogna scolare tutta l’acqua in un colino e risciacquare con altra acqua fredda
6.  A questo punto si possono mettere tutti gli altri ingredienti e mescolare il tutto
7.  Poi aggiungere il cavolo e mescolare con le mani fino a quando è tutto omogeneo
8.  Mettere tutto il Kimchi bello compresso in dei bormioli da 2 litri
9. Lasciarlo in un ambiente scuro e abbastanza temperato per circa 24 ore, e infine aprire il barattolo, lasciare uscire i gas e poi richiuderlo mettendolo al fresco per almeno 48 prima di mangiarlo

La numerazione non è messa a caso: è legata ad una scheda grafica che semplifica molto la comprensione della ricetta, e che potete trovare accedendo a questo link.
Come detto, il piatto richiede la fermentazione, e per innescarla il cavolo dev’essere messo in salamoia per circa 24 ore prima di aggiungere gli altri ingredienti. È proprio il processo di fermentazione che regala al piatto quella nota leggermente piccante che tutti adorano, perciò munitevi delle tipiche bacchette coreane, quelle metalliche che solo loro usano, e dateci dentro!

Enjoy