Proxima e cosa si mangia nello spazio
Che dire, dopo che la stampa ci
ha afflitto con la penosa clausura da COVID-19, l’agghiacciante situazione in
Ucraina e i drammatici rincari che questa ha causato su un po’ tutto quello che
riguarda la nostra vita, finalmente arriva nelle nostre case arriva una notizia
che riguarda un’eroina positiva: Samantha Cristoforetti parte per
una nuova missione spaziale a bordo della SSI (Stazione
Spaziale Internazionale). L’entusiasmo è generale perché di queste pessime
notizie ormai non se ne poteva veramente più. Eppure, nonostante tutto, ecco
che vengono comunque fuori quelli che devono per forza spalare fango su tutto e
tirano fuori il problema legato al fatto che Samantha è una mamma che per
favorire la carriera ha abbandonato suo figlio.
Tranquilli, non è mia intenzione
spendere una parola in più verso una questione che personalmente ritengo
ridicola, ma qualche sera fa ho visto in TV Proxima, il film in questione,
e la sua trama, guarda caso, parla proprio di una mamma astronauta
(interpretata dall’ottima Eva Green) che ha una deliziosa figlia di otto
anni, che le vuole un mondo di bene e che lei adora dal profondo del cuore, ma che
deve abbandonare a causa di una lunga missione nello spazio. E allora mi sono
chiesto: sarà mica un puro caso che lo trasmettano proprio adesso?
Sì, la coincidenza intriga, ma
vi lascio a rimuginarci da soli, se vi va. A me piace invece sottolineare
quanto sia drammatico, per un genitore di un figlio di quell’età, dover
contemporaneamente avere cura di lui e gestire la propria vita privata e
lavorativa. Di esperienze negative ne ho avute anche io, sono veramente brutte
e sinceramente ancora mi sorprende di averle superate. E, va detto, non c’è una
risposta che vale per tutti: l’amore che abbiamo per loro deve spingerci a
cercare di conoscerli al di là di quello che ci fanno vedere, cosa
incredibilmente difficile, e intuire cosa fare di fronte ad una situazione
complessa… sapendo che potrebbe anche andare male. È la sfida dell’essere
genitori.
In più nel film la
protagonista si trova a doversi confrontare con il maschilismo, sia quello dei
colleghi astronauti (Matt Dillon in primis) che quello della società in
cui vive, che è poi basato su classici luoghi comuni completamente fuori luogo.
Il risultato è lodevole, l’ho apprezzato e consiglio di vederlo… nonostante
quella pulce nell’orecchio legata al tempismo.
In tema Cristoforetti, non
credo sia molto diffusa l’informazione che esiste una piccola azienda Torinese,
la Argotec, che -fra altre cose- detiene il contratto esclusivo con l’ESA
(Agenzia Spaziale Europea) per la fornitura di cibo agli astronauti di
tutte le missioni spaziali europee sulla SSI. Anzi è stato proprio creato un progetto
dedicato, dal nome Space Food, che sviluppa i piatti preferiti dagli
astronauti in modo che si sentano un po’ come a casa almeno quando mangiano.
Gli elementi chiave del cibo, come gusto, sapore, profumo e consistenza, devono
essere rispettati, pur dovendo rimanere aderenti alle regole base
dell’alimentazione per gli astronauti, primo fra tutti il basso contenuto di
sale che altrimenti provocherebbe ritenzione idrica, con tutte le ben note
conseguenze. Ma vediamone un esempio con il semplice e gustosissimo Tiramisù:
Come avrete notato, non c’è la foto del Tiramisù, ma di Luca Parmitano (ideatore del progetto Space Food) accanto alla nostra Samantha; e l'ho fatto volutamente, perché il trucco per questa ricetta, come per tutte le altre, è che va eseguita esattamente come la si farebbe per mangiarla a casa; quello che invece bisogna imparare è come il piatto vada poi trattato per poterlo spedire, assieme agli astronauti, sulla stazione spaziale. E due sono cose le cose da considerare a tal fine: che nessun cibo può partire se non ha una durata superiore ai 18 mesi (anche se tipicamente sono 24 mesi) e che l’uso di conservanti è tassativamente e severamente vietato.
Pertanto, sono state sviluppate
due tecniche industriali applicabili, che vanno scelte a seconda del piatto
specifico: la Termostabilizzazione, cioè un sistema che prevede di
usare dei contenitori idonei per mettere questi prodotti -più o meno già cotti-
all'interno di un'autoclave che raggiunge temperature di circa 121°C per
circa 20’; oppure la Disidratazione (o Liofilizzazione),
cioè la rimozione dell'acqua, che si ottiene mettendo la pietanza all'interno di
alcuni macchinari, chiamati liostati o liofilizzatori, che hanno
la capacità di rimuovere tutto il liquido contenuto. È chiaro che quest’ultima
tecnica piace molto di più agli enti spaziali, come la NASA, perché il risultato
è molto più leggero da trasportare, però è anche vero che non tutti i cibi rispondono bene alla Disidratazione,
come d’altro canto non tuti i cibi rispondono bene alla Termostabilizzazione.
E allora vi chiedo: quale sarà
la tecnica più adatta per il Tiramisù?
Enjoy!